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La linea d’ancoraggio, una parte essenziale quanto poco conosciuta da cui dipende la nostra sicurezza alla fonda.

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La linea d’ancoraggio, una parte essenziale quanto poco conosciuta da cui dipende la nostra sicurezza alla fonda.

F&B Yachting, vendita di accessori nautici
Pubblicato da Ezio Grillo in Ormeggio · Venerdì 24 Feb 2023
Tags: linead'ancoraggioancoreacatena
Le ragioni per affrontare un argomento tanto spinoso sono diverse.

La prima è che negli ultimi vent'anni sono cambiate molto le ancore. Anche se la maggior parte delle barche sono tuttora armate con ancore nate perlopiù negli anni ‘80 se non prima, c’è stata una evoluzione tale nei “ferri” da cambiare totalmente non solo la sicurezza alla fonda, ma anche la stessa tecnica e filosofia d’ancoraggio.

Ancore migliori significa almeno due cose:
  1. Una migliore tenuta per cui carichi di lavoro più alti
  2. Un tipo di tenuta differente, non più, come di diceva un tempo “tenuta di catena” ma bensì, e aggiungerei “finalmente”, “tenuta di ancora”.

In queste pagine ci dilungheremo sulle altre due parti delle linea d’ancoraggio: il calumo (in catena e/o tessile) e il cardine di connessione fra ancora e catena.

Per queste due parti le cose sono cambiate tanto dal punto di viste dei materiali (e quindi della capacità di carico, per esempio), nelle tecniche e tecnologie di lavorazione, nella progettazione. Sono cambiamenti  essenziali perché avere a che fare con ancore che “tengono di più” vuole necessariamente dire aggravare potenzialmente tutto il sistema non solo di carichi di lavoro più alti, ma soprattutto di picchi di carico fino a qualche tempo fa impensabili.
Grazie alle nuove ancore, dicevamo, si è passati da una “tenuta di catena”, che contava sull’extra peso dato appunto dalla catena filata, ad una “tenuta di ancora” dove è l’ancora che tiene.

E’ a questo punto che cambia profondamente il modo di considerare il calumo: non ci interessa più tanto il peso, ma diventa essenziale fare bene i calcoli sui carichi di rottura perché con queste ancore il lavoro potenziale inferto sull'intero sistema è appunto molto più alto.

La fortuna è che le evoluzioni tecniche di cui ho poc'anzi accennato ci anno permesso di affrontare con piena efficienza questi importanti aumenti prestazionali: sono esattamente questi gli argomenti che indagheremo  a seguire…

Incominciamo affrontando una volta per tutte l’annosa questione del dualismo catena d’ancoraggio zincata o inox.
“Affrontare” è la parola giusta perché si tratta di un prova a dir poco spinosa perché non è sempre facile rendere giustizia a tutti gli argomenti.

Dicevamo che, ben sapendo che pochi se ne rendono conto,  negli ultimi anni c’è stata una notevole evoluzione nella produzione delle catene. Di conseguenza molte “teorie da banchina” più in voga traggono origine da catene che, benché si possano trovare ancora sul mercato, sono ormai tecnicamente sorpassate.
Parliamo infatti di una enorme evoluzione sia nella qualità delle materie prime, sia nelle tecniche e tecnologie di lavorazione che addirittura vedono brevetti conseguiti da diversi catenifici.
Tali progressi hanno permesso di elevare i carichi di rottura, nonché  la resistenza alla corrosione e al lavoro nel tempo, a livelli non immaginabili solo qualche decennio fa.

Altro punto importante, che spesso dà luogo a fraintendimenti, è che in questa sede parliamo di catene da usare in ambiente marino (con buona pace dei navigatori lacustri): essendo il mare un ambiente particolarmente corrosivo, i materiali e soprattutto le lavorazioni devono essere adeguati.

Fatto chiarezza, proseguiamo:
La legge italiana prescrive catene per ancora che abbiano un “Grado di Forza” (detto semplicemente “Grado”) pari a 30: tale misura ne indica, indipendentemente dal diametro del filo della catena stessa, una determinata resistenza meccanica.
Il “Grado” è infatti la  misura della tensione media di carico di rottura minimo del materiale con cui è costituita la catena e viene espressa in Newton per mm quadrato (Grado 30 = 3.000 N/mm2).  E’ quindi una indicazione del “livello di resistenza” di una certa tipologie di catena, indipendentemente dalla loro misura: per intenderci, posso prendere della catena di Grado 30 da 6, 8, 10 mm ecc.: stesso grado ma carichi di rottura e di lavoro differenti a secondo delle dimensioni della maglia.  

Di conseguenza, per determinare la giusta catena dell’ancora per la propria imbarcazione, bisogna assicurarsi del Grado di certificazione (almeno 30 ma ormai io consiglio sempre almeno Grado 40), della misura del filo (in dipendenza della lunghezza/dislocamento ed eventuali caratteristiche dell’imbarcazione), oltre che della lunghezza per garantirsi sempre il “giusto calumo” rispetto alla profondità dei fondali dove “normalmente” si ancora (3-4 volte il fondale - tenendo conto della tipologia del fondo – più  l’opera morta).  

La lunghezza ci deve garantire primariamente il giusto angolo di tiro rispetto al fondo: data una profondità, più il calumo è lungo, più l’angolo di tiro è basso, meglio l’ancora lavora. Ma attenzione: se si allunga troppo il calumo la barca tenderà a brandeggiare e il brandeggio, oltre che essere poco confortevole, può creare problemi.
In ogni caso, “poca cima, poco marinaio”, per cui consigliamo di mettersi a bordo le seguenti lunghezze di catena/tessile: non sotto i 50 metri per barche inferiori a 10 metri; intorno ai 75 metri per barche fino a 15-17 metri; 100 metri fino a 23-24 metri e poi su...
Non è una legge ma una indicazione di massima che va accolta e su cui ragionare tenendo conto di molte altre varianti in cui adesso è impossibile addentrarsi.

Una delle più discusse diatribe, dicevamo,  è quella sull’uso della catena zincata “contro” la catena inox.
La voce di banchina più insistente a questo proposito è quella secondo cui le catena zincate siano migliori perché godono di carichi di rottura maggiori. Non è vero:  diciamo che a parità di filo, salvo qualche eccezione di catene speciali apparse sul mercato, una catena in zincato ha un carico di rottura più basso di una corrispondente in acciaio inox.

Infatti, storicamente le catene zincate sono di Grado 30, oggi come dicevo consigliamo le Grado 40; eccezione fanno alcune rare catene in acciaio zincato legato che arrivano a Grado 65. Ma le catene in inox (AISI 316 L) partono dal Grado 50, e salgono al 60 e 60 Plus (le rare AISI 318 LN).

La più importante differenza sta nell’elasticità: le zincate sono infatti più “elastiche” delle inox. Questo è un aspetto molto importante perché nella lunghezza della catena “l’elasticità” fa gioco positivo ammortizzando i picchi di tensione:  questo è indubbiamente un punto a favore della zincata.
Considerando che una catena zincata costa circa 1/3 se non 1/4 di una catena in inox, si giudica spesso e giustamente più conveniente l’adozione della prima.
La zincata però, dura meno: diciamo 8-10 anni - se trattata bene - prima di perdere la zincatura e sviluppare ruggine. Appena sviluppa ruggine conviene cambiarla piuttosto che, consiglio spassionato, imbarcarsi in una nuova zincatura.

Quindi la catena zincata richiede periodici attenti controlli delle singole maglie perché, se saltasse la zincatura (contro un scoglio per esempio), lì si potrebbe innescare un pericoloso processo di corrosione.
Contrariamente, una catena inox di ottima fattura, è più resistente all’usura meccanica e può durare per due decine d’anni o più…

Il più noto svantaggio delle zincate a bordo di una barca è che, avendo la superficie ruvida, si accumulano nel gavone dell’ancora fino a bloccarsi, costringendo così spesso le persone a lavorare scomodamente e sporcarsi per poter salpare l’ancora.
Invece, le catene in acciaio, avendo la superficie liscia scivolano distribuendosi meglio all’interno del gavone di prua: questa è la prima ragione per cui molti armatori optano per la inox.

Vantaggio non da poco delle zincate è che NON sono soggette a “cricche” (micro fratture che si possono invece creare nell'acciaio inox) e meno soggette ai rischi legati a cattiva lavorazione in fabbrica o materia prima di bassa qualità.
Le “cricche” si possono creare nell’acciaio inox  a causa di tre ragioni: la qualità della materia prima,  la lavorazione dell’acciaio stesso (e delle saldature) e la lucidatura finale della catena.

In mare si usa acciaio inox a basso contenuto di carbonio: quello privilegiato è l’AISI 316L che può sviluppare cricche in acqua marina stagnante con temperatura sopra i 27.5 gradi C. Si tratta quindi di una condizione difficile da trovare sott'acqua, perlomeno nel Mar Mediterraneo.

ATTENZIONE però che si trovano catene in acciaio inox AISI 304, 304L e 316, di resistenza alla corrosione marina sicuramente inferiore e che l’acciaio INOX, anche se AISI 316L deve essere di qualità. I migliori acciai al mondo tuttora non si trovano in Asia ma bensì in Europa…
Esistono poi dei rari produttori in grado di fornire catene nautiche in acciaio inox AISI 318LN che, non solo hanno un Grado 60 Plus, ma godono di una resistenza alla corrosione che non trova condizioni scatenanti in natura marina.

Bisogna inoltre considerare che l’acciaio inox è più difficile da lavorare e soprattutto da saldare rispetto allo zincato. Quindi è il produttore che fa la differenza: nell’acquisto di una catena in inox è FONDAMENTALE scegliere il catenificio giusto, che sia a mio avviso perlomeno Europeo così da garantire e certificare non solo la qualità della lavorazione (saldature e lucidatura) ma anche della materia prima.

La lucidatura dell’acciaio inox è l’aspetto più importante per garantirne la resistenza nel tempo all’usura e alla corrosione: i catenifici importanti investono continuamente in risorse per migliorare questo processo fondamentale. Una lucidatura eccellente si distingue grazie alla bassissima o nulla porosità della superficie e per la distribuzione compatta ed uniforme in ogni punto di ogni singola maglia.

ATTENZIONE quindi ai diversi produttori Europei, Americani e Canadesi che in realtà fanno produrre le catene in Asia: sempre accertarsi della provenienza.

Tornando ai reciproci vantaggi, le catene inox (oltre ad essere più belle da’spetto), se di ottima manifattura come ho scritto hanno una lunga durata nel tempo, consentono controlli di stato più veloci, non portano a bordo tanto sporco, si lavano con più facilità.
Quelle in zincato sembra che, grazie alla loro superficie ruvida, facciano più attrito sul fondale marino diminuendo così il brandeggio: nessuno lo ha provato scientificamente però…

Altro vantaggio della zincata è che la resistenza e affidabilità è, rispetto alla inox, meno soggetta alla qualità di lavorazione e delle materie prime.
Per carità ho scritto “MENO” soggetta: non vuol dire che non sia soggetta…  personalmente non comprerei mai per la mia barca una catena in zincato che non sia di un rinomato catenificio italiano (siamo bravissimi con le catene zincate e bisogna riconoscerlo).

Come sappiamo infatti, il paradosso della catena è appunto che basta un solo “anello debole” per spezzarla…
Insomma, analizzando un po’ tutto, come spesso succede a bordo non esiste una tipologia di catena perfetta per ogni esigenza ed uso.  

L’altra longeva diatriba è calumo in catena, tessile o misto?
Eh qui apparentemente c’è da sbizzarrirsi ma in realtà ci sono degli esperimenti storici e dei dati precisi che limitano molto il dibattito.
Intanto il punto centrale da considerare è ancora una volta il carico di rottura.

Considerando di stare nello yachting, come calmo tessile si usano normalmente cime in poliestere ritorte a tre legnoli per le seguenti ragioni:  
  1. Hanno un carico di rottura più alto e sono più resistenti all'abrasione delle corrispondenti cime in poliestere con anima e calzate
  2. Vengono accettate e fanno attrito all'interno del barbotin del salpa-ancora
  3. Il poliestere affonda
  4. Il poliestere gode di un medio carico di rottura e di una buona elasticità (soprattutto con questo tipo di treccia)

Secondo uno studio storico americano si è visto che filare in tessile dà diversi vantaggi con barche fino ai 10 metri: poi diventa negativo. La barca incomincia a brandeggiare troppo.

Il problema vero è che in ogni caso, anche se non consideriamo più la catena per il suo peso ma per il carico di rottura, il peso della catena funge da ammortizzatore (è intuibile che ci voglia più energia per mettere in tensione una catena sospesa rispetto ad una cima sospesa della stessa lunghezza). Un calumo in tessile non riesce a svolgere questa funzione, aumentando il brandeggio e garantendo dei ritorni elastici anche forti in caso di vento rafficato.

In ogni caso, per barche di dimensioni maggiori di dieci metri incomincia a diventare critica la possibilità di poter utilizzare delle cime di carico di rottura adeguato mantenendo un diametro, con so come dire, consono, utilizzabile, non esageratamente grosso.

Faccio un esempio personale: posseggo una barca a vela storica di 15 metri e per alcune ragioni non posso avere più di 40 metri di catena 10x30 mm. Ho dovuto quindi aggiungere altri 40 metri di tessile da 24 mm che, benché impiombato direttamente  sulla catena,  non ha un carico di rottura sufficiente: ma più di quella misure i trefoli diventano troppo grossi per entrare nelle maglie della catena da 10 mm e l’impiombatura non passa nel barbotin orizzontale in dotazione. Di conseguenza ho creato una seconda linea parallela che aggancio alla catena con un apposito gancio ad alto carico (Aisi 318LN): le due cime lavorano quindi in tandem e ho un sistema sicuro.

E’ chiaro che questa soluzione  è un compromesso, ben lontano dall'essere una soluzione ideale.

Per barche di misura più piccola c’è anche chi sostiene la possibilità di utilizzare un calumo solamente tessile: qui trovo principalmente un rischio.  Il tessile può essere reciso facilmente da degli scogli per cui, almeno i primi metri (5 per barche molti piccole, almeno 10 per unità più grosse) deve essere in catena.
La catena in ogni caso aiuta l’ancora, avendo un peso specifico alto, a dar testa più facilmente.

Calumo totalmente tessile direi quindi di no, misto cima-catena ok fino a certe misure ma, attenzione: la cime deve essere impiombata direttamente alla catena: così si calcola in carico di rottura della cima abbassandolo solo del 30% (con un nodo si deve abbassare del 50%), e si eliminano terze parti come i grilli che, anche se di alto carico, sono sempre dei punti deboli potenziale.  

La regola generale in ogni linea di forza è che più elementi ci sono e più sono i punti deboli potenziali, le discontinuità ecc. ecc. Tutto deve essere sempre il più pulito e lineare possibile: “lineare” è una parola che non ho scelto a caso.

E la girella per l’ancora?  
Tecnicamente si chiama cardine di connessione fra ancora e catena, da molti soprannominato “girella” o “snodo” oppure all’inglese “swivel”.
Qui mi diverto perché abbiamo degli indiscutibili criteri scientifico/tecnici  di cui tener conto.

Iniziamo quindi da una importante legge fisica: “su una linea continua ed omogenea, il carico di lavoro si distribuisce in maniera uniforme. Ma se inseriamo un punto di discontinuità lungo questa  linea,  quello diventa il punto in cui si concentra il carico”.
Tradotto: la nostra catena è  “la linea continua ed omogenea”, mentre il cardine è “il punto in cui si concentra il carico”.

Mi spiace per questa piccola lezione,  necessaria per capire immediatamente quanto  questo sia un argomento importante e sensibile: con i cardini non si può scherzare!

I cardini di connessione DEVONO GODERE DI UN CARICO DI ROTTURA SUPERIORE A QUELLO DELLE CATENE A CUI SONO ATTACCATI.

Ora: i cardini sono e devono essere in acciaio inox (AISI 316 L oppure AISI 318 LN). Non possono essere in zincato perché devono ruotare (lo zincato fa attrito), devono avere una lavorazione molto fine (quella dello zincato è forzatamente grossolana) e per ragioni di massimizzazione dei carichi di rottura (lo zincato come abbiamo visto ha un carico di rottura più basso dell’inox AISI 316 L).

Ci scontriamo quindi con i problemi che abbiamo già visto legati all’uso dell’acciaio inox in ambiente marino.
Abbiamo infatti poc'anzi accennato che  il problema enorme dell’acciaio inossidabile marino possono essere le “cricche”  che si possono creare a causa di tre ragioni fondamentali.

La qualità della materia prima,  la lavorazione dell’acciaio stesso (e delle eventuali saldature) e la lucidatura finale delle superfici.
In mare si usa acciaio inox a basso contenuto di carbonio: quello privilegiato è il già nominato AISI 316 L che può sviluppare cricche in acqua marina stagnante con temperatura sopra i 27.5 gradi C (lo so, mi ripeto ma è necessario).

ATTENZIONE ancora una volta perché si trovano pessimi lavorati in acciaio inox AISI 304, 304L e 316.
Essendo l’acciaio inox difficile da lavorare, fondere, e saldare, è il produttore che fa la differenza: nell'acquisto di un cardine di connessione è FONDAMENTALE scegliere il produttore  giusto, che garantisca e certifichi la qualità della lavorazione e della materia prima.

Voglio spendere qualche parola sui processi in fusione: affinché l’acciaio fuso mantenga le sue caratteristiche, deve essere fatto raffreddare secondo un ben determinato e lungo processo CONTROLLATO,  in maniera da permetterne la migliore stabilizzazione dei legami molecolari.
Nei processi di produzione massiva (soprattutto nelle aziende terziste asiatiche che producono manufatti in acciaio per plurimi clienti dei più svariati settori) questo processo viene spinto al limite, spesso oltre, in maniera da ridurre i tempi di produzione e liberare le linee produttive. Ciò avviene  a discapito della nostra sicurezza!

Infine è la lucidatura dell’inox è l’altro aspetto importante per garantirne la resistenza nel tempo all’usura e alla corrosione: deve essere omogenea e non leggera.

In poche parole, prima di decidere di acquistare un cardine di connessione bisogna guardare:
  1. Che il carico di rottura sia superiore (non uguale) a quello della catena a cui si attacca
  2. Che sia in acciaio inox AISI 316 L o AISI 318 LN
  3. Che sia costruito bene e, se in fusione, che non derivi in maniera evidente da produzioni massive. Quindi è fondamentale assicurarsi che sia di un produttore riconosciuto, insomma uno che si occupa specificatamente di linee d’ancoraggio e che faccia di questo prodotto uno dei suoi punti di forza.
  4. Che sia lucidato bene
  5. Bisogna studiarne molto attentamente il disegno, ed ora vediamo cosa considerare…  

Il disegno è fondamentale: punto debole di ogni cardine è il “pin” che  ferma la catena: questo piccolo oggetto è limitato nelle misure dalle dimensioni interne dell’anello della catena entro cui viene montato.
E’ di fatto il “pin” che determina il carico di rottura dell’intera girella.

La maggior parte dei “pin” sono  a sezione circolare perfetta, per cui possono godere del carico massimo dato dalla sezione interna della catena stessa. Questo  non è sufficiente per  raggiungere un carico di rottura adeguato.

La soluzione è venuta da un paio di produttori che hanno realizzato tale “pin” in sezione ovale il quale, bloccato nella giusta posizione, offre un più ampio spessore sulla linea di tiro della catena garantendo un carico di rottura molto più alto.

Altro punto tipico di rottura sono le guance che trattengono il pin, a volte incredibilmente disegnate con sezioni minori del “pin” stesso! Bisogna porre molta attenzione…
La maggior parte degli swivel sono infatti dotati di guance che avvolgono il fusto dell’ancora: queste guance possono aver  senso solo negli snodi raddrizzanti (che fanno girare l’ancora nella posizione d’entrata nel musone) proprio per non dare stabilità dinamica all'ancora e farla quindi ruotare se appunto arriva al contrario.

Questa guance però hanno un doppio limite: in caso di tiro della catena non in linea (per esempio se l’ancora è incagliata), il cardine non può ruotare e lavora quindi pesantemente su angoli sbagliati fungendo da leva. Ogni snodo è stato disegnato per lavorare esclusivamente in una linea di tiro retta; non può fare angoli, neppure quelli che hanno una testa pivotante in grado di fare al massimo 30° sono sufficienti in questi casi…

Tradotto: non solo il cardine lavorerebbe male rischiando di deformarsi, ma fungerebbe da prolunga del fuso dell’ancora, aumentandone la leva, e  mettendo quindi  in crisi la resistenza stessa del fuso  fino a piagarlo.
La soluzione sta in quegli snodi che abbiamo una attacco all'ancora che permetta loro di ruotare completamente  a 180 gradi o più , in modo appunto di lavorare sempre in linea e non allungare il braccio sul fusto dell’ancora: come un grillo ad omega, per intenderci…

INFINE, ed è questa la ragione prima nell'utilizzazione: le girelle devono girare.
Devono essere in grado di girare soprattutto quando sono sotto carico per eliminare qualsiasi leva derivante da delle “cocche” (dei giri – “arrotolamenti”) della catena.
Infatti, per quanto ci sforzassimo di metterla in linea, la catena avrà sempre dei giri: se va in tiro (cosa che può succedere sicuramente con le nuove ancore ad alta tenuta in condizioni di vento forte), questi giri arrivano fino allo swivel che deve così  ruotare liberamente per eliminarne la derivante e pericolosa torsione.

Per questo NON si devono usare i grilli: perché appunto, non potendo ruotare, si spaccherebbero a causa della torsione inflitta dalla catena (o° spaccherebbero l’ultimo anello della catena stessa).
Uno snodo, per poter ruotare bene sotto carico, deve avere un carico di lavoro adeguato: non può avere quindi la testa ruotante piatta, ma bensì a sfera o mezza sfera che ne riduce appunto la frizione.

Un ultimo inciso sul raddrizzamento dell’ancora: c’è un trucco per non far arrivare l’ancora al contrario ed evitare quindi l’adozione dei pericolosi cardini raddrizzanti: basta, quando l’ancora è salpata ma ancora in acqua, non continuare a muoversi in avanti.

E’ infatti il flusso dell’acqua sull’ancora che ce la prepara al contrario: è sufficiente virare di qualche grado a sinistra o a dritta e l’ancora arriverà sufficientemente  angolata per poi, se dotata di un buon cardine, ruotare ed entrare ben dritta nel musone…

Riassumiamo quindi le caratteristiche del perfetto swivel per l’ancora:
  1. Acciaio AISI 316 L di provata qualità o AISI 318 LN
  2. Carico di rottura più alto della catena a cui va attaccato
  3. Produttore non massivo
  4. Dotato di un buon sistema di rotazione (carico di lavoro alto)
  5. Dotato di un attacco all’ancora senza guance in modo che possa lavorare in linea

A questo punto, buon vento e buona fonda a tutti.

Ezio Grillo Rizzi


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luciano Bartoli
Domenica 05 Mar 2023
Molto interessante ed utile. Grazie
Giuliano
Lunedì 06 Mar 2023
Ezio,
articolo fantastico! Di grandissima utilità!
Complimenti e grazie
Giuliano
Marco Mole
Domenica 07 Mag 2023
Spiegazione e descrizione dettagliata e di semplice comprensione . Complimenti e grazie
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