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I miei primi bordi con il Django 9.80

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I miei primi bordi con il Django 9.80

F&B Yachting, vendita di accessori nautici
Pubblicato da Ezio Grillo in Django · Mercoledì 13 Dic 2017
Tags: Django9.80
E’ forse un po’ eccentrico, in qualità di rivenditore Italiano delle barche del cantiere Marée Haute, scrivere un articolo sulle prime impressioni al timone di un Django.
Ma nella veste di velista appassionato non ho potuto resistere.

I Django sono delle barche di nuova generazione con una spiccatissima e rivoluzionaria propensione verso la crociera veloce.
Costruite estremamente robuste e con l’idea della manovrabilità in ogni condizione anche con equipaggio ridotto, tenendo conto della massima sicurezza (direi “sicurezza atlantica”) nonostante le performance entusiasmanti, sono di fatto dei piccoli yacht dalle emozionanti premesse.

Ho messo la prima volta le mani sul timone del Django 9.80 quando, appena arrivato per essere esposto al Salone Nautico di Genova 2017, sono stato costretto a cambiare ben 3 ormeggi: si tratta quindi di manovre a motore, non molto ma abbastanza per fare i primi conti con le due pale del timone e il dislocamento leggero.

Di fatto mi sono trovato ad eseguire da solo e senza conoscere la barca, un paio di manovre abbastanza precise e con vento al traverso: avendo già provato barche con timoni lontani dal flusso creato dall’elica temevo il peggio. Invece, il piccolo grande Django mi ha seguito docile e sicuro senza darmi la benché minima tensione.

La prima uscita in mare l’ho fatta, due giorni dopo la chiusura della Fiera, in coppia con un noto giornalista nautico che chiamerò “N”, venuto per fare il test per un articolo.
Vento appena nutrito, issiamo randa e fiocco e ci allontaniamo in bolina stretta.
La barca va, docile, perfetta, si porta con “due dita” sull’onda formata e mi permette di costruire un vento apparente di tutto rispetto. La barca si piega e mi sorprende per gli angoli stretti che riesce a tenere nonostante un disegno dal baglio così largo.

Sorprende anche N, tanto da pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato nel settaggio degli strumenti di bordo: faccio quindi una virata e… perfetta, ancora bolina strettissima.
Non contento decido di navigare “analogicamente”, guardando il windex in testa d’albero: rilevazione poco scientifica che però  mi confermava quanto riportato dallo strumento in coperta: gli angoli sono strettissimi!

Lascio il timone a N:  sento che la barca può dare di piĂą e vado quindi sottocoperta a vedere che vele abbiamo a disposizione. Risalgo con un Code 1 su frullino della DeltaVoiles. Lo armo sul prominente bompresso,  cazzo bene la drizza, cazzo il paterazzo e quindi lo apro.

Il Django incomincia a volare - almeno questa è la sensazione – equilibrato e sicuro nelle mani di N sul cui volto si apre sempre di più un sorriso.
Due cose mi colpiscono immediatamente:  l’impressionante stabilitĂ  di rotta anche sotto raffica e il fatto che la barca, che spesso superava i  10 nodi, non batteva mai neppure con l’onda a 60-70°.
E’ ora di cambiare mura, avvolgo il Code e strambiamo per portarci su una rotta più larga: la barca riprende e va subito come se non sentisse la diminuzione del vento apparente. Voglio riprendere il timone ma N non me lo dà: “voglio ancora capire” dice con un sorriso un po’ sfottente… Soffro, perché voglio capire anche io.

Devo attendere la fine di questo bordo e una nuova strambata: N deve prendere nota delle rilevazioni ed è quindi il mio turno. Riesco a far salire la barca di velocita e le emozioni che DOCILMENTE mi trasmette la barra (sono due barre in realtà) mi danno una energia che non sentivo da anni.

E lì capisco la prima cosa dei Django. Sono barche che richiedono un gioco di vele intelligente: metti la vela giusta e via, non ti ferma più nessuno. Il motore è un optional!

Anche la seconda uscita la faccio con un giornalista nautico che chiamerò “E”, e con il mio collega Stefano. Il vento è più nutrito del giorno precedente per cui riapro subito randa e ficco per prendere il largo: Stefano al timone mentre E scatta le prime foto e si ambienta.

Fuori c’è una flotta di barche del cantiere D che decido, volendo fare un po’ il gradasso, di sfidare a distanza ben sapendo che erano barche di misura di gran lunga maggiore del nostro Django 9.80.

Chiedo quindi ad E di stare al timone, gli faccio fare due o tre virate e poi, apro il Code 1!
Contavo di rivedere il sorriso anche sul volto di E il quale si “lega alla barra” in quello che mi è sembrata, in lui, una sorprendente soddisfazione: la barca parte e va sull’onda come se fosse stata su due binari. Siamo lontani dall’ammiraglia D ma è chiaro a tutti che, nonostante la differenza nella misura, eravamo noi i più veloci!

Il vento aumenta al limite sostenibile per il Code,  ma la barca è stabile e maneggevole. Chiedo piĂą volte ad E se riesce a tenerla:  mi conferma con calma concentrata che tutto è sotto-controllo e che si sta divertendo. Il sorriso è stampato sul suo volto…

In quel momento capisco il secondo punto dei Django: sono barche che ti permettono, praticamente come escono dal cantiere, di fare un’attraversata atlantica, ma non solo. La qualitĂ  costruttiva, le linee d’acqua scelte, così come le manovre e la loro disposizione, ne fanno sicuramente  un vero veliero oceanico, ma con altissime velleitĂ  anche per uscite in giornata.
Nonostante la misura, le prestazioni sono tali da farne anche la barca perfetta per  uscire a divertirsi con qualche bordo oppure per buttarsi nel mondo delle regate e vincere.
Ma i voluminosissimi spazi interni, ottenuti grazie al baglio di grande respiro, nonché la vasta scelta di opzioni offerte dal cantiere, permettono di pianificare lunghe crociere anche intorno al mondo…
Si chiama versatilità e nel Django 9.80 è sorprendete!

Non è una barca per tutti, ma sicuramente per i molti che amano emozioni sicure e in sicurezza, e che vorrebbero un veliero – di questo effettivamente si tratta – fedele, sicuro, performante ed utilizzabile sia da soli, sia con equipaggi esperti, come con la famiglia… a patto però di armare sempre la vela giusta!

Ezio Grillo



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