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Come mi sono salvato barca e Kulo

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Come mi sono salvato barca e Kulo

F&B Yachting, vendita di accessori nautici
Pubblicato da Ezio Grillo in Crociera · Sabato 21 Set 2019
Tags: IlnostroblognauticosalvataggiobarcaKulonavigatoriprofessionistidisattenzioneesperienzafatale
Ebbene questo articolo descrive una mia recente esperienza che non ho nessuna voglia di raccontare: lo faccio solo per spirito marinaresco in quanto potrebbe essere molto utile ad altri.
 
Lo scorso agosto stavo navigando in solitaria in Sardegna con il mio Columbia 50: un trasferimento abbastanza noioso da Cagliari a Lavagna.
 
Il momento più bello è stato quando, avendo finalmente il vento giusto, apro il Parasail per qualche ora di spensierata e divertente navigazione.
Un istante di questa veleggiata è stato immortalato dal mio collega Roberto Minoia (che ringrazio),  che mi ha fotografato mentre lo passavo sottovento (lui stava navigando in tranquillitĂ  con vele bianche).

Arrivato quindi a Tavolara devo ammainare: vento fra i 17-20 nodi.
Con calma mi appresto alla manovra che ho fatto migliaia di volte in vita mia ed insegnato a numerosissimi clienti.

Ed è proprio lì dove per routine arriva il primo errore: non tengo d’occhio braccio e scotta i quali, a causa del vento nutrito che continua a spingere la barca, mi finiscono in mare e, essendo in poliestere, affondano finendo nell’elica (motore spento) e timone.

Ammaino la vela, la metto in sicurezza sul ponte e mi appresto a liberare le cime: sorvolo su questa parte compiuta grazie all’aiuto di una barca a vela di passaggio.

Ma, secondo errore (questo immagino per stanchezza), mi dimentico d’aver lasciato il pilota automatico attivo: col timone bloccato e la barca spinta dalle onde il pilota mi va in sovra-sforzo e sgrana.
 
Mi trovo quindi ad un certo punto con timone bloccato a dritta dal pilota e la barca alla deriva spinta da vento ed onde, velocemente verso gli scogli dell’isola Molara.

Devo smontare il pilota automatico per liberare il timone e lo devo fare supervelocemente.
 
Il pilota si trova dentro il gavone di sinistra e per raggiungerlo incomincio a svuotare tutto e a togliere le pareti interne: ci riesco ma a quel punto mi accorgo che sono a pochissime decine di metri dagli scogli. Devo infilarmi nel gavone non solo per smollare il motore del pilota, ma anche per sganciare ed estrarre la sua catena: non ho abbastanza tempo e l’unica salvezza è filare l’ancora.

Questa la situazione:

  1. Timone bloccato e barca spinta al traverso da vento e onda formata verticale a corta frequenza
  2. tempo stimato per andare a scogli 3-5 minuti
  3. fondale presumibilmente misto scogli/sabbia
  4. ProfonditĂ  circa 15 metri
  5. Distanza approssimativa prima di toccare con la deriva: 30-40 metri
         
L’unica buona notizia è che sono dotato di un’ancora Mantus da 30 kg che, informo chi non lo sapesse, è a “tenuta dinamica” ed una delle sue caratteristiche più importanti è quella di riuscire a dare testa immediatamente e profondamente in uno spazio ridottissimo. Inoltre fa testa con poco calumo.
 
Filo subito 30 metri di catena: di più non posso per diverse ragioni fra cui, la prima, è che rischierei di non avere abbastanza fondo per successivamente salpare: il calumo è quindi solo il doppio della profondità.

Il vento mi spinge al traverso e le onde fanno letteralmente saltare la barca… conto i metri sudando freddo fino a quando stop, blocco la catena, metto una sicurezza (le onde m’avrebbero distrutto il salpa-ancora) e attendo… in pochi secondi la catena si tende dando una botta fortissima e la barca va con prua al vento: la Mantus ha fatto testa, ha fatto testa!!!

Resto a controllare qualche minuto, riprendo fiato, bevo dell’acqua e quindi incomincio a smontare il pilota. Almeno 30 minuti di lavoro, non ce l’avrei mai fatta stando alla deriva.

Liberato il timone, da solo a bordo, do motore con forza per portare la barca sopravento all’ancora per poi salparla con l’onda che mi fa saltare come fossi al circo: è una operazione folle che devo fare piĂą volte correndo da prua a poppa ma con molta fortuna ci riesco. Un dettaglio per descrivere  meglio la situazione: la pressione sul musone è tale che spolpo la puleggia che dovrò poi togliere definitivamente per poi sostituirla.

Mi porto quindi nella tranquillissima Cala Suaraccia dove praticamente svengo.

In conclusione:

In mare bisogna sempre fare tesoro di ogni esperienza avendo sempre l’umiltà di ammettere i propri errori: il mare e il vento sono sempre più forti di noi e non bisogna mai sfidarli con superbia.
Questa pessima ma fortunata esperienza mi ha ricordato che, anche quando sei sicuro, non sei un dio e di errori e cazzate ne puoi fare sempre, tante e in sequenza.
Che anche quando la situazione è disperata, il mare ti lascia sempre una possibilità e quindi non bisogna mai mollare.

Infine, non è pubblicità perché lo scriverei anche se non ne fossi io il distributore: se non avessi avuto la Mantus sarei andato sicuramente a scogli.
Lo dichiaro con la sicurezza che mi arriva non solo da più di 35 anni (ad oggi) di navigazione in tutto il mondo con tutte le ancore, ma dal fatto che da 12 anni studiamo continuativamente in maniera scientifica le ancore e le linee d’ancoraggio: conosco quindi le caratteristiche di ogni modello. Nessun’altra ancora al mondo, neanche l'eccezionale Ultra che abbiamo lanciato e commercializzato noi per tanto tempo, mi avrebbe potuto salvare con tanta ferma sicurezza da quella terribile situazione.
 
Mi auguro che questa mia esperienza che, ripeto, non ho raccontato con piacere, serva a tutti per comprendere quanto sia necessario garantirsi a prua il miglior “ferro” e delle giuste dimensioni.
 

Ezio Grillo


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