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Superstizione e prevenzione: se non se ne parla, non accade...

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Superstizione e prevenzione: se non se ne parla, non accade...

F&B Yachting, vendita di accessori nautici
Pubblicato da Ezio Grillo in Filosofia nautica · Mercoledì 10 Mag 2023
Tags: superstizioneinmaresuperstizioneabordosuperstizioneinbarca
Il mio caro amico Gianmario Longoni, grande teatrante e velista d’alta scuola, parafrasando l’immenso Eduardo De Filippo una volta mi disse: "Non essere superstiziosi porta male".
 
Cos’abbiano in comune Teatro e tradizione marinara, escludendo ovviamente Gianmario, non saprei dire con precisione, ma credo di poter affermare che c’è molto di più di quanto si pensi: sicuramente sono entrambi mondi in cui l’imprevisto e l’imprevedibile sono sempre in agguato e in cui sono senz’altro il mestiere, l’intuizione e la conoscenza a far la differenza quando serve. E quando non bastassero più, in entrambi i mondi si ricorre a quell’impalpabile mistero che chiamiamo “fortuna”.
E quando si parla di fortuna, ovviamente non si può che non pensare alla sua grande antagonista, la sfortuna e così nasce la superstizione.

Come sappiamo la superstizione, il concetto di sfortuna o più modernamente di sfiga (vocabolo volgare di chiaro eco maschilista ormai descritto perfino dall'Accademia della Crusca), è ben presente in mare come nel Teatro in mille modalità e sfaccettature diverse.
Si tratta di una vera propensione intellettuale a volte positiva e divertente, spesso neutra e magari rassicurante, altre volte, mi sono reso conto negli anni ahimè, dannosa.

La Treccani definisce la superstizione come “insieme di credenze o pratiche rituali dettate da ignoranza, frutto di errore, di convinzioni sorpassate, di atteggiamenti irrazionali...”.  
La superstizione va a braccetto con la scaramanzia che sempre il famoso dizionario definisce “scongiuro, formula magica o anche amuleto cui si attribuisce la capacità di allontanare la iettatura e il malocchio…”.

Dicevamo che esistono diversi tipi di superstizioni. La prima, quella in assoluto positiva, è la superstizione che cerca di prevenire le disgrazie, quella che definirei “intelligente”.
Per fare un esempio terraiolo, il temerario avviso secondo cui “passare sotto le scale porta male” serve per prevenire il rischio che, quando si passi appunto sotto una scala, ti caschi in testa un utensile della persona che sopra di te sta lavorando.

In mare, è sulla stessa linea la storica scaramanzia di non portare banane a bordo: una regola da rispettare perché le banane si deteriorano velocemente e tutte insieme, e quando vanno a male producono gas metano, altamente tossico, che come minimo può provocare nausea e vomito.  

Esistono poi una esagerazione di superstizioni che potremmo classificare come “culturali”: il non vestire il colore viola in Teatro, per esempio, trova le sue radici nell’abbigliamento ecclesiastico ricco di questa colorazione e nel fatto che l’oscurantismo del clero, per lunghi periodi nella storia, ha fatto chiudere diversi palcoscenici in tutta Europa.
Sulla stessa linea la scaramanzia di augurare “tanta merda” prima di uno spettacolo, si rifà ai tempi in cui le persone raggiungevano il luogo della rappresentazione in carrozza per cui, se lo spettacolo aveva successo di pubblico, si capiva dalla strada davanti alla sala piena di feci di cavallo.

Nuovamente, un’altra superstizione “salmastra” che mi viene in mente, è quella secondo cui cambiare nome ad una barca porti male.
Affonda anch'essa le sue radici nel passato, un tempo in cui il nome di una nave veniva cambiato solo da quegli armatori senza scrupoli decisi a sfruttare fino all’affondamento anche le navi ormai considerate pericolose, troppo vecchie.
Non esisteva un registro navale né fotografie, e l’unica maniera di sapere su un’imbarcazione era la voce di banchina (o di taverna): una cattiva barca aveva quindi un cattivo nome. Un nome mai sentito era garanzia di una nave nuova e sicura… chissà quanti marinai ha salvato questa credenza?
Tornando a terra, far cadere il sale porta male perché un tempo, per chi viveva lontano dalla costa, questo minerale cosi utile in cucina costava molto ed era spesso soggetto a pesanti dazi. Si dice che il pane toscano (senza sale) nacque quando la potente Repubblica di Pisa mise appunto delle sostanziose tasse sul sale che faceva transitare nella regione.

O nuovamente nella nautica possiamo trovare il divieto di usare il color verde.
Si tratta di una antica credenza per cui risalire ad un’origine univoca è veramente difficile. L’ipotesi più accreditata, e francamente abbastanza orripilante, è quella secondo cui gli ufficiali di Marina che morivano in navigazione, a differenza dei marinai, non venivano seppelliti in mare ma bensì bendati come mummie e custoditi a bordo fino all’approdo al porto d’origine.
Arrivavano quindi ammuffiti, ovvero ricoperti di muffa verde. Che dire…

Meno orribile ma sicuramente poco galante, è la credenza secondo cui le donne portino sfortuna in barca: si tratta di una superstizione internazionale e figlia della scuola di vita.
A incominciare dai cosiddetti “sons of a gun”, tradotto troppo letteralmente dall'inglese “figli di una pistola”: si trattava in realtà dei figli di padre ignoto, o meglio figli di un intero equipaggio, concepiti  durante i turni di guardia nelle navigazioni notturne. L’origine del nome stava nel fatto che non sapendo chi fosse appunto il padre ed essendo il ponte di batteria il posto più adatto dove partorire, il cognome di tutti i nati veniva registrato come “Son of a gun”, figli delle armi o meglio dei cannoni lì in quell’area adiacenti...
Ma entrando ancor più nella reale concretezza, questa superstizione sta nella stringente logica suddivisione delle mansioni all’interno delle famiglie: gli uomini andavano in mare a lavorare (e se vogliamo a rischiare la vita per lavorare) e le donne stavano a casa a curare figli e focolare. Se entrambi rischiavano sulla stessa barca, chi avrebbe accudito i figli in caso di disgrazia?

Altra categoria è quella delle superstizioni “insensate”, quelle senza un perché o la cui origine si è persa nel tempo: fondamentalmente innocue e tuttalpiù spassose.
Per esempio il numero tredici o il diciassette, entrambi abbinati o meno al venerdì, si dice che portino male a terra come in mare (anche nello spazio se guardiamo la famosa navicella Apollo 13) e non se ne conosce una vera ragione.
Ancora, credenza marina e terrestre, il terribile gatto nero (i gatti si portavano a bordo delle navi per cacciare i topi), che attraversi o meno la strada.
O anche il “Capitan Tempesta” quello che al momento di salpare, seguito dagli scongiuri e imprecazioni di tutti a bordo, urla il temuto e malaugurante “buon viaggio!”.

Fino a qui, devo confessare, che tutte queste ed altre superstizioni mi divertono, come mi fanno sempre sorridere tutta la varietà di scongiuri, alcuni dalla misteriosa origine (come toccarsi): in fondo le considero anche un modo per tenere in vita una tradizione antica.

Ma la vera ragione che mi ha spinto a scrivere questo breve articolo è l’ultima terribile tipologia di scaramanzie, la più diffusa di cui tutti noi con più o meno consapevolezza ne siamo stati vittime, almeno una volta, nella vita e in qualsiasi ambito: quella inutile, ignorante e potenzialmente dannosa che definirei “superstizione stolta”. Siamo nell’ambito dell’insondabile insensatezza, dell'irragionevolezza, della pura cecità mentale.
Un esempio fulminante: “no, di questa cosa non ne voglio parlare perché porta male!”.
Volendo essere generosi, si tratterebbe di un atteggiamento di difesa psicologica, comprensibilissimo ma solo in una persona sotto un forte stress che intenda appunto proteggere il proprio equilibrio mentale messo in crisi.
Come tutte le superstizioni si tratta di un atteggiamento chiaramente irrazionale, ma  che in questo caso come dicevo può diventare gravemente dannoso; e qui faccio un esempio personale che viene dalla mia professione.  

E’ lecito che chi mi stia leggendo non sappia che mi occupo di sicurezza in mare e di equipaggiamenti nautici e che, fra le varie attività, tengo corsi e serate su questi importanti argomenti.
Ebbene, nella mia esperienza non potrei dire quante volte mi sia imbattuto in atteggiamenti comprensibilmente frustranti del tipo: “non parliamo di queste cose per favore perché porta male”.  

Non molti anni fa stavo tenendo un incontro presso un circolo nautico e se non mi sbaglio avevo iniziato parlando delle tecniche ed equipaggiamenti avanzati per il recupero dell’uomo a mare. Mi presento, introduco il tema e vedo alcune persone (faccio notare: invitate ad un appuntamento con un titolo esplicito) che con discrezione si alzano ed escono. Vengono intercettate dal Presidente del circolo che fa loro una domanda a cui rispondono educatamente nell’orecchio.
“Perché si sono alzate?” chiedo in confidenza al termine. “Perché è meglio non sapere…  è meglio non parlare perché porta sfiga” mi ha risposto il Presidente.  
Attenzione: in questo caso si tratta sicuramente di una eccezione, di un comportamento eccessivo ed ignorante, di un atteggiamento a dir poco autolesionista e per fortuna non diffuso;  ma in ogni caso è indice di una dannosa e serpeggiante mentalità: di fatto molti si stupirono dell’atto di alzarsi, ma nessuno si sorprese della ragione per cui si alzarono.
Il problema non sta infatti nei pochi che manifestano apertamente tali dannose superstizioni ma nel fatto che tutti ne accettiamo la persistenza.

Vediamo se riesco ad arrivare al punto con un altro esempio personale: il mio ultimo libro (pubblicato con Il Frangente) si intitola La zattera di salvataggio. L’argomento mi è stato proposto dall’Editore dopo che, fatta una ricerca, si è accorto che non esistevano in Italia altri manuali dedicati a questo importantissimo argomento.
Non ho mai trovato pace nel constatare quanto poco l’armatore medio sappia del mezzo che potrebbe salvare la vita sua e dei suoi cari nella malaugurata circostanza di un affondamento, e nonostante ciò mi stupii nello scoprire che appunto non esistessero manuali che approfondissero tale materia.
“Sulla carta” (chiedo scusa per l’irresistibile gioco di parole) sarebbe dovuto quindi essere un best-seller di settore, roba da qualche centinaio di copie naturalmente ma un libro ricercato da chiunque vada in barca... e invece non ho mai avuto così poche richieste di conferenze di presentazione.  
Il motivo?
Sicuramente ha fatto gioco una non adeguata promozione da parte dell’Editore che contava su una alta richiesta organica e ha quindi adottato un marketing molto debole; ma questa considerazione non basta spiegare la differenza con l’altro mio libro sempre sulla sicurezza.

Ancora una volta è stata una confidenza, quella del proprietario di una importante libreria specializzata, che mi ha suggerito una spiegazione:  “le persone non sono interessate a questi argomenti: perché non scrivi un libro sulle tue avventure nautiche la prossima volta?”.
“Le mie avventure nautiche…”.
Raramente mi arrendo davanti ad una battuta generica e ho quindi indagato: non è semplice mancanza d’interesse, ma appunto “superstizione stolta”… parlare di queste cose dà fastidio non perché fa paura (la prevenzione dovrebbe togliere ogni timore), ma perché “è meglio così”, perché dà disagio.
Allo stesso modo “è meglio così” non vestire un buon giubbotto autogonfiabile quando consigliato, ma forse ancora “meglio così” risparmiare dotandosi di soli giubbotti salvagente base di legge (ciò che è prescritto dalla legge andrà bene e non porta male) perché intanto non li usiamo mai.
Figuriamoci costruire una safe-line per legarci quando si va  sul ponte di notte o col mare grosso: “io di notte non navigo e con mare formato sto in porto; e comunque non lascerei mai il pozzetto!” mi son sentito dire.
Nulla serve spiegare che la navigazione porta con sé l’imprevedibilità e che quindi ogni proposito deve venire a patti con ciò che la natura semplicemente infligge: “ma dai, che sfiga...”.

Riporto la definizione di superstizione della Treccani: “insieme di credenze o pratiche rituali dettate da …  atteggiamenti irrazionali…”.

E’ un argomento che ho discusso con diversi colleghi che si occupano, come me e da più tempo di me, di prevenzione delle emergenze in mare; il verdetto è univoco: la scaramanzia non esplicita è un atteggiamento reale, molto diffuso e in espansione negli ultimi anni.

Si tratta, e arrivati qui mi piacerebbe una breve e attenta riflessione da parte di chi mi sta leggendo, di un tipo di SUPERSTIZIONE NON CONSAPEVOLE e latente, che si insinua in noi e si traduce in un pericoloso atteggiamento di superiorità misto ad intolleranza e se vogliamo anche ad indolenza.
Sentiamo un fastidio generato dal dover pensare a problemi potenziali da prevenire, lo giustifichiamo con il non voler portar tensioni a bordo o in famiglia, ma la realtà sta appunto in una condotta irrazionale, una sorta di superstiziosa scaramanzia inespressa per cui, semplicemente, “se non se ne parla non accade”.

Non parliamone più allora, “è meglio così”, e chiudiamo questo mio breve intervento ma non prima dell’augurio che porta bene a tutti i naviganti a vela e a motore: buon vento!


 
Ezio Grillo Rizzi
Nautica, maggio 2023


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